Antitesi di Gaetano Salerno

L’antinomia non contraddice la tesi; ne fortifica anzi il messaggio nell’antitesi, anche se apparentemente ad essa contrapposta, unendo concretamente in un paradosso comunicativo due linguaggi indipendenti e concettualmente inconciliabili, come i lavori di Franco Cimitan e Riccardo Costantini.
Quel certo sguardo sul mondo che è poi il motore primo di ciascuna azione artistica come riorganizzazione scenica del dato visivo, conduce i due artisti a sviluppare una visione pittorica opposta ma legata da meccanismi propri del guardare e paradigmatici delle illusorie divagazioni del dipingere.
Analitico il lavoro di Riccardo Costantini, ricco di dettagli minimi e di segmenti riassuntivi attraverso i quali l’artista penetra lo spazio pittorico per riorganizzare la veduta, pervenendo lentamente all’insieme delle componenti, lentamente svelate sulla tela attraverso intersecanti e serrate linee e cromie paratattiche; sintetico invece il lavoro di Franco Cimitan, organizzato in profonde vedute unitarie e coese, immediatamente dichiarate da colori subordinati ai loro stessi complementari, piegati alle regole della prospettiva cromatica, veicolanti di emozioni che nell’immediatezza e nello stupore della scoperta dirigono i nostri sguardi verso livelli ulteriori e interni della trama narrativa, fino a perderci in essa.
Verso la verosimiglianza della pratica iperrealista Riccardo Costantini (iper-scrutante) incontra al centro di questo biunivoco e serrato dialogo linguistico il percorso di Franco Cimitan (iperpercipiente), diretto invece al vero pittorico; il primo, rinunciando alla soggettiva interpretazione del mondo ne rende uno spaccato quanto mai puntuale e minuzioso, facendo appello a concetti di bellezza indubitabili, classicamente eccessivi nel rigore delle forme umane; il secondo invece, anteponendo all’esattezza della visione l’incertezza morbida e fluida dei sentimenti e appellandosi a libertà sublimi, sconvolge la nostra lettura e il nostro recupero del testo pittorico all’interno di atmosfere quanto mai incerte e inafferrabili.
Il mondo statico e in attesa di Riccardo Costantini, invaso da campiture accese dal vago sapore metafisico, esiste speculare a quello ritratto da Franco Cimitan, percorso da linee energetiche che producono scomposte e caotiche pennellate pluridirezionali e sbuffi di colore; ciascuno a suo modo connesso con gli elementi terraquei dalla cui unione prende forma la materia del cosmo, prima di espandersi ed esistere libera, concreta o soltanto evocata, oltre la forma pensata.
Le iperboli di corpi e carni vivide esposte al sole di Costantini, offerte senza schermi moralistici, attirano voyeuristicamente la nostra attenzione, costringendoci poi a proseguire oltre la sensualità dei corpi, intuire nei frame pittorici una visione sincretica di una quotidianità anonima dipanata in lungo, desiderosa di essere guardata, ascoltata, dipinta e prossima alla consacrazione iconica conferita dal potere eterno e commemorativo della pittura che dialoga con la fotografia e inverte i ruoli di chi osserva e di chi invece è osservato.
Evocazioni di umanità trascese invece le parossistiche tempeste e i cieli plumbei di Cimitan, metaforiche condizioni ambientali, cangianti come gli stati dell’animo, imprevedibili e inattese come gli esiti di parabole esistenziali; nelle improvvise lumeggiature che, nascoste dalle nubi, annunciano un probabile e sereno futuro si insinua un dato emotivo inquieto, una digressione psicologica imprevista e accentuata dallo stridente contrasto con le serenità apparenti di corpi vacanzieri delineati dal sole.
Gli stati d’animo sono così celebrati da un’ estetica della luce che si riscopre metafisica della luce, emanazione di una potenza superiore a quella umana, di una scintilla creazionista che ci origina, ci sovrasta e ci condiziona, eternamente.
Costruita ed accademica la pennellata di Riccardo Costantini, regolata dai formalismi estetici della materialità contingente ed oggettiva, si stempera così nelle citazioni protoromantiche ottocentesche di Franco Cimitan che invece avviano una visione primariamente sinestetica e multisensoriale; contemplare la gamma cromatica nella sua interezza, indagare il buio o accecarsi nella luce, pervenendo ad antitetiche suggestioni tonali, rende perciò bene l’idea di una realtà multiforme, prigioniera degli estremi, eternamente fluida e la natura di una pittura – ricongiunte le tesi alle antitesi e ridotte le superficiali asimmetrie – orientata alla costruzione di una nuova esegesi della natura, colta nella sua eterogenea simultaneità.