Spring JuIce di Gloria Vallese

Per nulla illusi, neanche un po’ idealisti, molto innamorati della loro professione. Prendono l’arte, l’arte di creare un’immagine, come un mestiere difficile, in salita, i cui segreti si conquistano per gradi, con l’iniziazione e l’esercizio. Danno per scontato che richiede un coinvolgimento totale e mettono in gioco con semplicità la vita degli affetti, la casa e tutto il resto; praticano in alcuni casi un ascetismo più da atleti che da religiosi.
Film e musica fanno breccia in loro, qualche volta. E la radio, magari quando sei straniero e ti riporta gli accenti della tua lingua; il libro invece è morto o quasi, un genere inattuale. Soli o monogami, hanno una vita relazionale sobria a dir poco. Le astrattezze concettuali per cui andavano pazzi i ragazzi di trent’anni fa dal loro orizzonte sono assenti. Dalla politica e dalla società non sembrano attendersi nulla. Soli, con la macchina fotografica che ha preso il posto del taccuino degli schizzi, e successivamente con tela colori o altri materiali, si inoltrano alla scoperta di nuovi mondi. Nell’universo della visualità, sentono di essere centrali, e che le loro esperienze, più sono particolari, più sono d’interesse generale. Nel loro lavoro, persino quando parla di solitudine, non c’è tristezza. Anzi è pervaso da vitalità e ottimismo, un incantevole succo di primavera.
Sono questi i tratti comuni che emergono dai profili che questi artisti giovani tracciano di loro stessi; ed è qualcosa di profondo, un segno d’epoca che caratterizza ogni annata, sempre un po’ diverso per ogni generazione.
Per il secondo anno consecutivo, la galleria AndreA arte contemporanea dedica una rassegna primaverile alle presenze artistiche emergenti nell’ambito del triveneto, scelte al loro primo rivelarsi, negli atelier dell’Accademia di Belle Arti di Venezia e alle rassegne collettive della Bevilacqua La Masa.
Alla sua prima edizione, l’anno scorso, questa rassegna ha provato la sagacia degli organizzatori, segnalando presenze virtualmente sconosciute come quelle di Elisa Rossi, Vania Comoretti e Chiara Albertoni, che nei mesi seguenti si sono rapidamente imposte sulla scena nazionale, vincendo premi e partecipando a rassegne prestigiose.
La scelta di quest’anno è caduta su cinque figure: Chiavedale, Costantini e Gioachin pittori, Treppo che opera tra fotografia, scultura e allestimento, Bizjak fotografo. Cinque formule accomunate da due significativi fattori: la scelta figurativa e l’alta qualità formale, ma per il resto molto diverse fra loro. Molto diverse quanto allo stile, a prescindere dalla diversità del mezzo tecnico; perché va precisato che nelle rassegne internazionali e nella produzione dei maggiori artisti, pittura e fotografia sono ormai considerate mezzi d’espressione equivalenti.
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Riccardo Costantini presenta “polaroid” delle vacanze tradotte in accattivante pittura: campi netti di colori chiari, abbagliati di luce e di sole, saporose semplificazioni di forme e contorni. Viene da Burano, la magica isoletta della laguna veneta, ed è uno di un gruppo di giovani pittori locali di matrice realista (riservare attenzione anche al suo amico e coetaneo Igor Molin, altro interessante allievo dell’Accademia), i cui soggetti sono, primariamente, gruppi di gente qualunque in gita in montagna, o in atto di passeggiare fra le casette colorate dell’isola.
Fra tenerezza e ironia, ma con al fondo un accento di festosa esuberanza che richiama la Pop Art iconica degli anni ‘60, Riccardo ritaglia le figure dal contesto originario e le “incolla” su prati verdi o campi di neve che i suoi “turisti” sembrano guardare con felice spaesamento. Il mondo appare nuovo, fragrante, ed è espresso con una fragrante pittura. La semplificazione quasi astratta delle forme, il taglio che ferma le azioni in un tempo sospeso ricordano per un verso le stampe giapponesi, per l’altro il prediletto realista magico americano degli anni ’40, Hopper. Un effetto che si accentua nei trittici che Riccardo Costantini dedica a uno stesso personaggio, a una stessa figura (“Stay”, 2004).
Costantini rivela che è stato un quadro in particolare, un quadro che adesso non possiede più e dove i suoi gitanti salivano in seggiovia contro il fianco verde della montagna, a rivelare a lui stesso questo stato d’animo di spaesamento felice, questa dimensione di movimento, associata a stupore e scoperta, che si rivela nelle sue immagini.
Colori un po’ virati all’artificiale e un po’ abbagliati gli sono suggeriti dalle foto, grande luce e tempo sospeso dalla piccola e magica Burano. Ma Costantini confessa che ora ha in progetto un viaggio in una qualunque grande metropoli del mondo, possibilmente molto colorata, dove lo sfondo si muova in continuazione dietro la gente che si muove, per poter continuare a indagare l’effetto movimento. Solo bianco e nero invece per le grandi figure di Michela Gioachin, che gioca fra la tenerezza e l’intimità delle situazioni e le dimensioni grandi, da pubblica affissione, che i personaggi hanno nel quadro. Nella serie “Sposi” (2004 – 2005), s’instaura un gioco sottile ed elegante tra i visi (visi domestici, da riunione familiare, non da film), e la saporosa sintesi grafica da poster pubblicitario, basata sulla riduzione di linee e forme e sulla rarefatta eleganza dei bianchi risparmiati e dei neri dosati all’essenziale.
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Testo d’introduzione al catalogo della mostra “Spring Juice” a cura di Gloria Vallese e inaugurata il 16 aprile 2005 presso la galleria AndreA Arte – Contemporanea, Vicenza.